Morte nel bosco
e altri racconti
Amparo Dávila
€ 18.52
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Traduzione: Giulia Zavagna
Pagine: 288
Isbn versione cartacea: 9788832107487
Il secondo e conclusivo volume che include tutti i racconti ancora inediti in Italia della celebre reina del cuento fantástico.
Boschi che promettono l’oblio, biglietti per destinazioni infinitamente lontane, seduzioni profonde e distruttive: la grande scrittrice di Zacatecas con mano febbrile conduce i suoi protagonisti sull’orlo del precipizio, facendoli smarrire in labirinti ingannevoli la cui sola uscita sembra essere il risveglio da un incubo senza nome. Un’esplorazione della psiche umana e un viaggio nelle profondità della percezione che lasciano intatto il dubbio che l’inquietudine sia la sola costante dell’esperienza umana e l’unico modo per sfuggirle sia abbracciarla senza riserve, seguendo l’eco della sacerdotessa delle infinite possibilità del perturbante.
Amparo Dávila è nata in Messico nel 1928 ed è scomparsa il 18 aprile 2020. Ha pubblicato numerose raccolte di racconti ed è stata insignita della Medalla Bellas Artes nel 2015 e del premio Xavier Villaurrutia nel 1977. Negli ultimi anni un rinnovato interesse verso le sue opere l’ha consacrata come una delle più grandi maestre messicane del racconto.
«Straordinaria».
Julio Cortázar
«Difficile sottrarsi a un fascino così sottile, fatto di una prosa semplice eppure capace di catturare fino allo scopo. Che non è la paura, bensì un’angoscia rafforzata dallo sconcerto».
Valerio Evangelisti, Tuttolibri della Stampa
«È il momento di riscoprire questa grande autrice messicana, regina del cuento, signora del fantastico e dell’incubo quotidiano».
Cristina Taglietti, Sette del Corriere della Sera
«Bellissima maga in foto, proprio come la Maga della Rayuela cortázariana, tassello mancante nella galassia sudamericana femminile novecentesca, insieme a Silvina Ocampo e a Clarice Lispector».
Antonella Cilento, La Repubblica
«Lungamente ignorata da critici e editori, Amparo Dávila è scomparsa con la consapevolezza di aver raggiunto nell’estrema vecchiaia un riconoscimento unanime e un pubblico ben più vasto della ridottissima cerchia di appassionati lettori che ne custodivano i libri come reliquie».
Francesca Lazzarato, Alias del Manifesto
«Ad Amparo Dávila non serve denunciare o fare proselitismo, le sue donne e i suoi uomini sono travolti da un’angoscia che emerge dal nulla, perché il mistero si annida proprio lì, dove tutto sembra normale, nelle pieghe della banalità che molti non degnano neppure di uno sguardo, proprio come gli ultimi».
Il Giornale
«Amparo Dávila ha sempre messo al centro delle sue opere l’esperienza delle donne partendo dal loro contesto sociale, e determinando così una relazione tra l’ambiente domestico, perturbante – che lei stessa aveva vissuto – con l’“oscuro”».
Il Messaggero
«Non esagero se dico che Amparo Dávila investigava già i meccanismi della macchina femminicida che in Messico uccide e annienta moltissime donne. Un classico è tale quando possiamo leggere il presente attraverso le sue pagine».
Cristina Rivera Garza
«Le opere di Amparo Dávila sono uniche nella letteratura messicana. Non c’è nessuno come lei, nessuno con la sua complessità e la sua capacità d’introspezione».
Elena Poniatowska
«Un uomo, sempre lo stesso, mi insegue con un enorme pugnale tutte le notti quando dormo. È un tormento indicibile vivere con il timore che un giorno mi raggiunga e io non mi risvegli più» dissi loro.
«So bene cosa intende» disse il più giovane dei due. «Io subisco la persecuzione quotidiana, costante, di una nube di nere farfalle che appaiono in ogni momento, in ogni luogo in cui mi trovi. È una nube spessa che incombe sulla mia testa e che, se corro, si muove al mio stesso passo senza la- sciarmi modo di trovare riparo e liberarmene; mi insegue senza sosta come un’ombra delatrice proiettata verso l’alto; a volte la sento così vicina che devo portarmi le mani alla testa e correre chino, quasi attaccato al suolo, per evitare che le sue ali, appesantite da una polvere rancida e brunastra, mi sfiorino…».
«Immagini, simboli, persecuzioni sinistre. Non c’è via di scampo possibile quando fuggiamo da noi stessi; il caos che abbiamo dentro si proietta sempre verso l’esterno; l’evasione è un percorso che non porta da nessuna parte… ma non occorre soffrire né tormentarsi, cominciamo il gioco; l’ambiente è propizio, solo la magia perdura, il pensiero magico, il sortilegio inafferrabile della parola».