L’azione
Sara Mannheimer
€ 17.10
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Traduzione: Deborah Rabitti
Pagine: 216
Isbn versione cartacea: 9788832107364
Vincitore dell’European Union Prize for Literature
Una donna vaga per le stanze della sua casa, affascinata prigioniera di un’immensa biblioteca che contiene una collezione completa della letteratura di tutti i tempi. Le stanze ricolme di lussureggianti scaffali si susseguono infinite, i dorsi dei libri rivolti contro di lei: un luogo spaventoso e invitante. Magia e realismo si intrecciano nella scrittura poetica e leggera di Sara Mannheimer, che riesce a rappresentare la fragilità spesso ben celata della vita quotidiana cancellando il confine sottile tra realtà e immaginazione in una prosa che dispiega il potenziale di infiniti universi narrativi. Sarà infine il dolore segreto della protagonista a essere la chiave di interpretazione del suo ostinato e furioso leggere: le linee nette tra vita e finzione diverranno sempre più sfocate, per aprirsi infine alle possibilità più indisciplinate e sorprendenti del connubio tra vita e letteratura.
Sara Mannheimer è cresciuta a Göteborge e vive a Stoccolma. Insieme all’attività di scrittura gestisce la vetreria Stockholm Heta Glas. Nel 2012 l’acclamato Come Rushing, opera sperimentale di teatro e danza a cui ha collaborato con la coreografa Birgitta Egerbladh, è andata in scena allo Stockholms Stadsteater. Il suo primo romanzo Reglerna ha vinto il Premio Borås Tidnings per il miglior debutto. L’Azione si è aggiudicato il Premio europeo per la letteratura, consacrando Sara Mannheimer tra le scrittrici svedesi più eclettiche e riconosciute dalla critica.
«È come se dell’opera grafica si fossero occupati Kazimierz Brandys e Julio Cortázar e per inchiostro avessero scelto la mente inquieta di una donna che supera i propri traumi soltanto attraversando righe di testo, piegandosi alle loro leggi».
Michele Neri, Il Foglio
«L’Azione mi infonde un immenso desiderio di leggere e di vivere».
Ulrika Knutson, Sveriges Radio
«Sara Mannheimer ha indubbiamente una voce del tutto singolare, con un umorismo assurdo e personaggi irripetibili che ricordano da vicino quelli della scrittrice ucraino-brasiliana Clarice Lispector».
Amanda Svensson, Expressen
«Stanotte ho sognato un bambino grassottello.
Eravamo al piano di sopra e avevo paura di essere infettata dalle donne magre del piano di sotto, che si trascinavano un’infezione alla gola. Avevo anche paura di essere infettata dal cicciottello, ma l’ho superata. Invece ci ho giocato insieme. Volevo sentisse che desideravo davvero giocare con lui! Che non lo facevo solo per farlo contento. Era un gioco di tipo acrobatico. C’eravamo rotolati per un po’ sul pavimento, c’era una coperta, non vedevo granché del suo viso, sentivo per lo più il peso, i rotolini di ciccia, i candidi cuscinetti, morbidi, instabili, e tuttavia avvertivo in lui una certa tristezza, in fin dei conti era un ciccione, pallido e grasso e piccolo, non apparteneva alla casa, eppure dove altro sarebbe potuto andare?
Nemmeno io avevo altri posti in cui andare, nemmeno io appartenevo alla casa.
E tuttavia se n’è andato, credo. È stato allora che ho aperto la finestra per sbattere lungamente la coperta che magari era stata infettata, dai cuscinetti di grasso, dallo smarrimento.
Ora mi manca. Quel bambino non ero forse io? Ora che sono ritornata qui. Nella realtà?
È a questo che serve la Casa? È qui che avrò il coraggio di ingrassare, finalmente dilatare, farmi traballante e goffeggiare fuori controllo? È qui che mi abbandonerò completamente al movimento organico?
Non ho la risposta.
Ma per ora il mio corpo custodisce lo scrigno incastonato, lo scrigno inarcato stipato di altrove. Il buco vestito di assenza e nostalgia. Tengo in scacco l’interstizio rigonfio, lo tengo al suo posto dentro di me, silenzioso e chiuso e adornato come uno scrigno, i bordi rossi come di una ferita medicata con cura».