Il figlio della fortuna
Tsushima Yūko
€ 17.10
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Traduzione e postfazione: Maria Teresa Orsi
Pagine: 208
Isbn versione cartacea: 9788832107074
«Un’opera determinante nella letteratura nipponica contemporanea».
Avvenire
Kōko, insegnante di pianoforte part-time e madre single di una figlia che disapprova le sue scelte, avverte con turbamento dentro di sé i segnali di una gravidanza non pianificata. Il germogliare della nuova vita, l’eco del passato e il susseguirsi di eventi fuori dal suo controllo la spingono a intraprendere un viaggio al limitare tra la coscienza e il sogno che la condurrà all’indimenticabile rivelazione finale – dopo la quale Kōko proclamerà il suo silenzioso trionfo in un’insurrezione contro qualsiasi norma, riconquistando un terreno di autentica fertilità nel radicale atto di fedeltà verso sé stessa.
Tsushima Yūko (Tokyo, 30 marzo 1947 – ivi, 18 febbraio 2016), nome d’arte di Tsushima Satoko, è stata un’acclamata scrittrice, saggista e critica letteraria giapponese. Figlia di Dazai Osamu, controverso e celebre scrittore del Giappone postbellico, è considerata una delle più significative esponenti della corrente letteraria del «romanzo dell’io» (shishōsetsu) – definizione tuttavia riduttiva e spesso contestata dall’autrice stessa. I suoi numerosi romanzi e racconti, tra cui Chōji (1978; trad. it. Il figlio della fortuna, Safarà, 2021), hanno vinto riconoscimenti prestigiosi come il Kawabata Yasunari Literature Prize e il Noma Literary Prize, e sono stati tradotti in numerose lingue consacrandola nello scenario internazionale tra le grandi autrici giapponesi del Novecento. Il dominio della luce (Hikari No Ryōbun) viene qui presentato nella sua prima edizione italiana.
«Un romanzo formidabile».
Angela Carter
«[Koko] ristabilisce l’equilibrio del proprio vivere, spianando la strada alle donne dei romanzi che verranno in seguito, quelle di Kawakami Mieko e Murata Sayaka, figlie della cosiddetta “generazione femminista” delle ribelli che nel dopoguerra hanno lottato per la propria emancipazione».
Giorgia Sallusti, Il Manifesto
«Una melodia che non ha smesso di risuonare per quasi quattro decadi, e che continuerà a echeggiare lungo i territori infiniti del presente».
The Asia-Pacific Journal
«Tsushima ha lasciato la sbalorditiva eredità di una prosa stilisticamente unica e liricamente feroce, i cui protagonisti sono sempre individui spinti ai margini della società».
The Japan Times
Kōko era assorta nella contemplazione di una montagna di ghiaccio dalla cima aguzza. Era una montagna trasparente, simile a una stalattite capovolta, e i suoi contorni si stagliavano abbaglianti sullo sfondo azzurro del cielo. Dall’inizio del sogno Kōko si era convinta che fosse così abbagliante proprio perché era come certe immagini riflesse in uno specchio. E tuttavia, l’atmosfera dei tempi remoti, per quanto mitigata da tanta bellezza, per gli esseri umani doveva essere insopportabile, aveva an- che pensato. Eppure lei, Kōko, non avvertiva una particolare sofferenza. Soltanto qualche brivido e qualche difficoltà nel respirare. Nel sogno si limitava a guardare la montagna. Non vi era nulla né prima né dopo. Il monte era lì quando apriva gli occhi e scompariva quando li chiudeva. Tutto qui. Non era possibile che le sue emozioni vagassero liberamente, come negli altri sogni.
Era sicura che si trattasse dell’atmosfera di un tempo molto antico e che la montagna trasparente fosse il Fuji: questi due elementi erano come catene che imprigionavano il suo corpo. Nella forma il monte non assomigliava al vero Fuji, ma non ci potevano essere dubbi che si trattasse proprio di quello. Kōko era convinta di vederlo così perché si trovava nell’atmosfera dell’era primordiale. Nel sogno non avrebbe potuto dare un altro nome a un monte trasparente che era esistito fin da quei tempi. Eppure si meravigliava di quanto fosse bello. Il suo corpo non si muoveva. Non desiderava muoversi. L’udito era come assopito dalla calma che si stendeva tutt’intorno. Kōko avvertiva come un brivido di freddo il silenzio più puro che il genere umano avesse mai conosciuto. Era sabato mattina. Era il giorno in cui Kayako, sua figlia, sarebbe rimasta a dormire da lei. Ancora presa dal breve sogno di poco prima, Kōko si vestì rapidamente.