Fra le tue dita gelate.
Racconti fantastici
Francisco Tario
€ 17.10
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Traduzione: Raul Schenardi
Pagine: 232
Isbn versione cartacea: 9788832107449
«Uno scrittore la cui figura è ancora intrisa di mistero».
Alejandro Toledo, curatore di Francisco Tario. Antología
Fra le tue dita gelate, dedicato all’amata moglie Carmen Farell, il “mágico fantasma” che attraversa impalpabile il respiro di ogni pagina, è considerato all’unanimità il capolavoro di Francisco Tario, enigmatico protagonista della letteratura messicana del Novecento. Scritti con una prosa di inquietante bellezza, i racconti surreali, grotteschi e sensuali qui riuniti illuminano i varchi di accesso verso una dimensione altra che scorre parallela alla comune percezione, disseminando il testo di anticipazioni che solo i lettori più scaltri sapranno individuare e svelando, solo in parte, l’enigma della narrazione. Nascite mostruose, oceani voraci e amori chimerici: lo spirito avanguardistico di Tario avverte il lettore di trovarsi sul terreno sdrucciolevole tra la veglia e il sogno, tra l’incubo e il ricordo, e che il solo modo di uscirne è attraversarlo, facendo attenzione a non scivolare per sempre nel lato del possibile.
Francisco Tario (Città del Messico, 9 dicembre 1911 – Madrid, 30 dicembre 1977) pseudonimo di Francisco Peláez Vega, è stato uno scrittore, apprendista astronomo e calciatore professionista messicano. Considerato un outsider per non avere aderito né a correnti artistiche né a gruppi letterari, è oggi ritenuto una figura emblematica della narrativa fantastica latinoamericana. Spesso paragonato a Juan Rulfo per l’approccio radicalmente personale alla scrittura, tra i suoi temi favoriti c’è il limite sensoriale dell’umano nel percepire la vastità del mondo che lo circonda, territorio esplorato con sottile umorismo e una profonda attenzione verso l’insolito e il grottesco, coordinate che lo hanno allontanato dal tradizionalismo di molti dei suoi contemporanei, facendogli guadagnare lo status di scrittore di culto. Nel 2022 Safarà ha pubblicato una delle sue raccolte più celebri, Fra le tue dita gelate. Racconti fantastici.
«Una estetica della crudeltà in forma di racconto, dove la rappresentazione del fantastico, spinto ai suoi eccessi, fa a meno di artifici simbolici».
Stefano Tedeschi, Alias
«Tario è sempre stato un pellegrino senza locanda. Un instancabile viaggiatore dell’arcano che trascina con sé un’eco di sogni e risate».
Mauricio González de la Garza
«Autore di un’opera immaginifica e inclassificabile, Tario è stato un’onda che è salita come la marea, fino a diventare una tempesta».
Geney Beltrán, curatore della mostra per il centenario della nascita dell’autore
«Fra le tue dita gelate (brillantemente tradotto da Schenardi) contiene racconti a volte inquietanti e onirici, altre volte poetici e nostalgici, altri ancora grotteschi e macabri o pieni d’umorismo nero. Tutti però sono costruiti in modo impeccabile e tengono prigioniero il lettore dall’inizio alla fine. La setta di seguaci di Tario di sicuro avrà una sede anche in Italia».
Loris Tassi, Blow Up
«Tornavano pigramente le vele. E volevo dire, a quanto ricordo, che la mia anima era come una vela che si smarriva in mare nel buio o che io ero la solitudine stessa, sprovvista di vele. Che ero, insomma, qualcosa di altrettanto inaudito della notte stessa che ci piombava addosso, come la musica che suonava in quel momento o come qualcosa che neanch’io comprendevo. Che sarei stato capace, se la disperazione e le circostanze me lo avessero permesso, di amare in modo appassionato, esagerato, come non è consigliabile amare nessuno. Che la mia anima era cupa, limitata e profonda, e che era piena di parole occulte che mi affliggevano in ogni momento. E mi sarei rivolto a quell’uomo, che tornava a guardare attentamente le vele, per chiedergli scusa per la mia infelicità. Oppure mi sarei rivolto a lei, al mio unico amore dell’estate, e le avrei domandato volentieri che cosa, nel corso dell’estate, aveva intuito nei miei occhi, nel colore della mia cravatta, durante tutte quelle bibite che avevo bevuto accanto a lei. Se aveva scoperto che tutto, persino il più lieve malessere della mia anima, era governato da lei. Che nemmeno il mare e il sole mi attraevano; che aborrivo, in fondo, la notte, per quanto profumati fossero i viali, e che forse, nel peggiore dei casi, non amavo neanche lei.
Ma l’amavo, sì; lo capivo. Avevo previsto un’infinità di volte quello che sarebbe successo a un certo punto, sulla banchina della stazione, quando lei e il marito sarebbero partiti, e gli occhi di lei li avrei perduti in una notte sfortunata. Perché quegli occhi mi avrebbero lasciato – non so se in virtù del loro colore o perché i miei pensieri si affrettavano eccessivamente – il fulgore gelido di mari gelati, sconosciuti, coperti di fumo nero, con onde gialle e bianche e imbarca- zioni nere anch’esse. E poteva essere che il Paese di lei, lontano e sconosciuto, coperto di fiori rossi e di onde gialle, che io avrei scoperto in fondo alla banchina nel momento dei saluti, fosse l’unica ragione per cui l’amavo, per cui mi sentivo attratto da lei come da un mistero e per cui oggi mi sono proposto di pronunciare qualcosa di decisivo e importante, in consonanza con la notte».