Namamiko.
L’inganno delle sciamane
Fumiko Enchi
€ 17.57
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Traduzione: Paola Scrolavezza
Introduzione: Giorgio Amitrano
Pagine: 240
Isbn versione cartacea: 9788832107012
Dall’autrice di Onnazaka, per la prima volta in traduzione italiana, un’indimenticabile storia d’amore e potere alla corte imperiale del Giappone classico.
Pubblicato in Giappone per la prima volta nel 1965, L’inganno delle sciamane mette in scena, nei palazzi splendidamente adornati e carichi di segreti della corte del periodo Heian, l’indimenticabile storia d’amore tra l’Imperatore Ichijō (980-1011) e la sua Prima Consorte Teishi, e la sottile lotta politica messa in atto dal potente Cancelliere Michinaga per dividerli.
La strategia dell’alto funzionario passerà per il corpo e per le labbra di ingannevoli sciamane, due sorelle che loro malgrado diverranno potenti guardiane di verità e menzogne, nonché autentico cuore di una storia memorabile che ha attraversato i secoli fino a giungere a noi grazie alla limpida scrittura di Fumiko Enchi. Attraverso un intreccio sul limitare tra verità storica e romanzo, in un ordito delicato e potente, Namamiko monogatari viene consegnato ai lettori contemporanei come un’esperienza letteraria di rara intensità.
Fumiko Enchi (1905-1986) è stata una celebre sceneggiatrice e scrittrice, una delle più importanti voci femminili giapponesi del periodo Shōwa e una delle prime donne a vincere il Noma Literary Prize. Nel 2017 Safarà Editore ha ripubblicato uno dei suoi romanzi più celebri, Onnazaka, nell’ormai classica traduzione di Lydia Origlia, mentre nel 2018 ha pubblicato la prima traduzione di Namamiko. L’inganno delle sciamane. Saimu, il suo ultimo romanzo, è di prossima pubblicazione per Safarà Editore.
«La scrittura di Enchi ha la stessa fluidità amniotica di Tolstoj, un’immersione quasi fisica e fluttuante nell’habitat della storia».
The American Reader
«La sensibilità femminile si fa acuta fino a sfiorare o oltrepassare la soglia del soprannaturale, per diventare strumento di resistenza, vendetta o semplicemente di espressione di sé».
Dall’introduzione di Giorgio Amitrano
«L’antica corte imperiale di Kyoto e il mondo del Genji Monogatari, visti dalla parte delle donne. Sovrane e nobili dame di compagnia, ma anche ancelle e sciamane. In questo romanzo di grande forza emotiva, Enchi Fumiko crea personaggi femminili che sfatano gli archetipi patriarcali della tradizione letteraria giapponese».
Antonietta Pastore
«Grazie al tramite della letteratura classica, sensualità e spiritualità si fondono nei lavori di Enchi. Dopo di lei, nella letteratura giapponese non si vedrà più un linguaggio come il suo, così profondamente influenzato dallo studio dei classici, ricco di sfumature, e di personalità».
Mishima Yukio
«Il lavoro di Enchi merita un’attenta analisi per le sue impeccabili riflessioni sulle donne intrappolate nella rete del dominio maschile, e sui loro oscuri tentativi per ottenere il controllo».
The Japan Times
«Nei romanzi di Enchi Fumiko, l’elemento soprannaturale – pur oscuramente evocato – viene equilibrato e in definitiva esautorato dalla componente psicologica che legge nelle donne un potere eternamente temuto dagli uomini attraverso i secoli, possibile proiezione dei mali insiti nella stessa natura maschile».
Maria Teresa Orsi, curatrice del Genji monogatari per Einaudi
«Enchi Fumiko ha debuttato come drammaturga, ma nei suoi sessant’anni è diventata ampiamente riconosciuta come scrittrice quando le sue storie con protagoniste femminili hanno conosciuto una grande popolarità. Figlia del famoso accademico esperto di Giappone classico Ueda Kazutoshi (1867-1937), Enchi stessa era una profonda conoscitrice dei classici giapponesi e produsse una traduzione in giapponese moderno consacrata dalla critica del grande romanzo dell’XI secolo, La storia di Genji».
Murakami Haruki in The Penguin Book of Japanese Short Stories
«La nuova Consorte Imperiale, maggiore di Ichijō di cinque anni, aveva ereditato dalla madre le qualità che le garantivano di eccellere per talento ed educazione. Versata nella poesia, nella calligrafia, nel koto e nel biwa, senza distinzione di sorta, era talmente dotata che anche fra i gentiluomini più talentuosi non c’era nessuno che le fosse superiore. E di questo talento non faceva alcuna mostra né ostentazione: nei suoi modi composti e aggraziati si percepiva un’inesprimibile eleganza, come se nel cuore custodisse il profumo dei fiori di susino mescolato ai primi boccioli di ciliegio.
Inizialmente Ichijō, quando Teishi era stata introdotta a corte, era convinto che avrebbe provato imbarazzo accanto a una donna maggiore di lui per età, ma già nei primi tempi, semplicemente sdraiati l’uno accanto all’altro, pur protetti dalle cortine dell’alcova, nel fluire rilassato e piacevole della conversazione, fra monogatari ed eventi lontani, la rigida solennità era andata svanendo. Diversamente dalle nutrici cui era avvezzo, goffe nei modi e nell’aspetto, il viso, il collo, le mani, i piedi, tutto in lei era sottile, morbido, flessuoso e di un’inesprimibile bellezza. Le movenze del suo corpo, aggraziato come l’incurvarsi dei rami del salice, avevano catturato il cuore del giovane, in modo quasi doloroso».